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Magritte. La Ligne de vie

La mostra Magritte. La Ligne de vie, nata in collaborazione con la Fondazione Magritte di Bruxelles, propone al pubblico circa settanta opere dell’artista belga, in prestito da musei internazionali e collezionisti privati.
Il percorso espositivo seguirà il filo conduttore offerto dalla conferenza “La Ligne de vie” che Magritte tenne ad Anversa nel 1938.
In quell’occasione, una delle poche in cui l’artista si espresse pubblicamente sulla sua opera, Magritte illustrò l’evoluzione della propria poetica e citò gli artisti che maggiormente lo avevano suggestionato.
La mostra documenterà l’evoluzione di Magritte a partire dalle opere giovanili – differenziandosi in questo dalle tradizionali esposizioni che ne propongono solo le creazioni più caratteristiche – e metterà in luce l’influenza che le avanguardie italiane ebbero su di lui attraverso paralleli con alcune opere futuriste e metafisiche.

Il catalogo

Seguendo il filo del discorso tenuto dall’artista, questo catalogo ne ripercorre la carriera fin dagli esordi. Sono qui documentate più di novanta sue opere, ma anche alcune creazioni di coloro, come Giorgio de Chirico e Max Ernst, che Magritte citò fra i propri ispiratori negli anni giovanili. È così possibile scoprire alcune delle fonti della sua poetica e apprezzare allo stesso tempo l’originalità delle soluzioni a cui pervenne.

Questo volume non si limita alle opere realizzate fino al 1938, anno della conferenza, ma seguendo la traccia offerta dall’artista mette in evidenza come l’approccio alla creazione allora illustrato gli consenta di trovare motivi di ispirazione sempre nuovi e realizzare fino agli ultimi anni della sua vita opere di straordinaria inventiva e forza poetica.

Il volume è curato da Xavier Canonne, direttore del Musée de la Photographie di Charleroi e membro del comitato di esperti della Fondation Magritte, e Julie Waseige, specialista dell’opera del pittore ed ex collaboratrice scientifica del Musée Magritte, in collaborazione con Guido Comis, curatore del MASI, che ha affiancato i curatori nella ricerca delle opere e nell’approfondimento critico.

Vedi anche: Focus Magritte

Balthasar Burkhard

Il Museo d’arte della Svizzera italiana di Lugano dedica una mostra monografica all’opera del fotografo e artista svizzero Balthasar
Burkhard (Berna, 1944-2010).

L’esposizione – realizzata in collaborazione con il Museum Folkwang di Essen, la Fotostiftung e il Fotomuseum di Winterthur – ripercorre l’intero arco cronologico della carriera di Burkhard: dalle opere degli esordi alla fine degli anni Sessanta nel segno della fotografia documentaria, alle grandi vedute di paesaggi urbani e naturali realizzate al volgere del nuovo secolo. Fra questi due estremi si situano le immagini con cui Burkhard documenta la scena artistica internazionale a fianco del celebre curatore Harald Szeemann, le istantanee realizzate con il collega Markus Raetz e riprodotte in grande formato su tela emulsionata e le fotografie di corpi stampati in dimensioni tali da divenire elementi architettonici o paesaggi. A guidare la ricerca di Burkhard è il desiderio di riaffermare il ruolo creativo della fotografia in un’epoca in cui le tecniche artistiche tradizionali sono messe in crisi dal diffondersi delle installazioni e delle performance che lui stesso documenta: opere che aspirano a emanciparsi dai formati maneggevoli e dalle collocazioni abituali. Non siamo dunque di fronte a semplici immagini, ma a una concezione della fotografia totalmente nuova che trova nei grandi e versatili spazi del Museo d’arte della Svizzera italiana il proprio contesto ideale.

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Picasso. Uno sguardo differente

Il Museo d’arte della Svizzera italiana di Lugano rende omaggio al grande maestro spagnolo con la mostra Picasso. Uno sguardo differente, realizzata in collaborazione con il Musée national Picasso di Parigi – depositario della più ampia e completa raccolta di opere dell’artista – e curata da Carmen Giménez, fra i massimi esperti della sua opera.

Mettendo in relazione con criterio inedito 105 opere su carta e 15 sculture che coprono un arco cronologico che si estende dal 1905 al 1967, la mostra documenta l’evoluzione del linguaggio di Pablo Picasso nel corso degli anni e sottolinea il suo ruolo fondamentale nello sviluppo dell’arte del Ventesimo secolo.

Accanto ad alcuni fra i più noti capolavori dell’artista, il percorso espositivo presenta opere della collezione personale di Picasso offrendo al pubblico l’opportunità di ammirare anche creazioni meno note, o mai precedentemente esposte, e cogliere aspetti sorprendenti e intimi della sua poetica.

Si dice che quando morì ormai novantunenne Picasso tenesse ancora la matita in mano. Nei disegni e nelle opere su carta risuona infatti la dimensione più personale dell’artista. Nella mostra sono numerosi i riferimenti alle figure femminili, ai luoghi, alle circostanze che hanno segnato la sua vita. L’esposizione è dunque un occasione non solo per avvicinare l’opera, ma attraverso di essa, anche la personalità del grande maestro spagnolo.

La mostra è organizzata dal MASI, Lugano in collaborazione con il Musée national Picasso-Parigi.

Il catalogo

120 opere, 105 disegni e 15 sculture, tutti eseguiti da Picasso tra il 1905 e il 1967: lavori sconosciuti al grande pubblico, custoditi presso il Museo nazionale Picasso di Parigi e oggi per la prima volta riuniti in un prezioso catalogo che accompagnerà la grande mostra.
Questo catalogo non ha precedenti nel panorama dei cataloghi dedicati al Maestro cubista: l’opera di Picasso viene studiata da una prospettiva inedita, volta a portare alla luce tutta quell’area della sua produzione che è rimasta in un certo senso nascosta, misteriosa per la sua genesi e il suo significato.
La curatela di mostra e catalogo è stata affidata a una delle massime esperte di Picasso, Carmen Giménez, che ne assicura precisione e scientificità. Oltre che dal contributo di Giménez e dalle eccellenti riproduzioni di tutte le opere esposte in mostra, il volume è arricchito da numerose fotografie di Picasso al lavoro nei suoi atelier e da un saggio di Francisco Calvo Serraller, esperto indiscusso di arte spagnola di Otto-Novecento.
Carmen Giménez è curatrice di Arte del XX secolo presso il Guggenheim Museum di New York da oltre 25 anni ed ex-direttrice-fondatrice del Museo Picasso di Málaga. Ha curato esposizioni fondamentali sull’opera dell’artista, quali Picasso and the Age of Iron (Guggenheim Museum, New York, 1993), Picasso’s Picassos (Museo Picasso, Malaga, 2003), Picasso Black and White (Guggenheim Museum, New York, 2012-2013) e Picasso The Line (The Menil Collection, Houston, 2016-2017).

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Sulle vie dell’Illuminazione. Il mito dell’India nella cultura occidentale 1808-2017

masi_india2017_manifesto_itIl Museo d’arte della Svizzera italiana, nell’ambito del progetto Focus India, dedica una grande mostra all’India e all’influenza da essa esercitata sulla cultura e l’arte occidentale nelle sue diverse espressioni. “Sulle vie dell’illuminazione. Il mito dell’India nella cultura occidentale 1808-2017” offre uno sguardo ampio e diversificato sul modo in cui, dall’inizio dell’Ottocento a oggi, la realtà indiana – con le sue tradizioni, religioni, paesaggi, culture e forme artistiche – ha affascinato e influenzato in maniera crescente il mondo artistico e culturale occidentale. A cura di Elio Schenini, la mostra è posta sotto al patrocinio dell’Ambasciata indiana in Svizzera.

Il percorso espositivo, esteso sui due piani del Museo, declina il tema portante della mostra attraverso 400 opere e una molteplicità di materiali, mettendo in luce la profonda influenza che l’India ha esercitato sull’arte e sulla cultura occidentale negli ultimi due secoli: dalle riflessioni sull’induismo e sul buddismo di Schopenhauer, cui si rifarà negli anni a venire anche la letteratura di Herman Hesse, divenuta un riferimento per intere generazioni con Siddhartha, alle analisi antropologiche di Carl Gustav Jung; dai romanzi popolari di Kipling ed Emilio Salgari, al cinema di Rossellini e Pasolini. E poi ancora i Beatles che contribuirono a rendere l’India di moda tra la gioventù occidentale, come testimonia il connubio tra musica, spiritualità orientale e sperimentazione psichedelica della controcultura giovanile tra gli anni Sessanta e Settanta. Senza dimenticare, infine, gli scatti “indiani” di Henri Cartier-Bresson e di Werner Bischof, la città ideale immaginata a Chandigarh da Le Corbusier e i tanti artisti che negli ultimi decenni hanno tratto ispirazione e influenze dal subcontinente indiano: da Robert Rauschenberg a Frank Stella, da Richard Long a Luigi Ontani da Francesco Clemente ad Anselm Kiefer, per citarne solo alcuni. Un percorso espositivo ricco ed estremamente variegato dal quale risulta chiaro come l’India e le sue tradizioni millenarie abbiano sedotto una moltitudine di intellettuali ed esponenti della cultura europea dall’Ottocento ad oggi.

Il catalogo
In occasione della mostra viene pubblicato da Skira un volume di 672 pagine che ripercorre la storia di questa “fascinazione indiana” dell’Occidente attraverso un ricchissimo apparato iconografico e un gran numero di contributi di autori diversi che si soffermano sui molteplici ambiti in cui questa fascinazione si è espressa, dall’arte alla letteratura, dalla musica alla religione, dalla storia del costume alla psicologia. Ne risulta un percorso singolare attraverso gli ultimi due secoli di storia della cultura occidentale, in cui si possono incontrare, tra moltissime altre, le figure di Schopenhauer, Kipling, Salgari, Redon, Gustave Moreau, Mata Hari, Kirchner, Hesse, Jung, Cartier Bresson, Le Corbusier, Ginsberg, Pasolini, Sottsass, i Beatles, Rauschenberg, Francesco Clemente, Luigi Ontani.

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Wolfgang Laib

laibIl MASI ospita un’importante mostra monografica dedicata a Wolfgang Laib, artista tedesco la cui opera si distingue nel panorama artistico contemporaneo per essenzialità, chiarezza e profondità di pensiero. Il progetto espositivo, elaborato in stretta collaborazione con l’artista, raccoglie 50 opere tra sculture, fotografie, disegni e installazioni che esplorano tutti gli ambiti del suo universo creativo.

La mostra si apre dando spazio a disegni e fotografie, delineando immediatamente il singolare vocabolario artistico di Laib, capace di coniugare con armonia e semplicità una profonda conoscenza di culture e religioni orientali con un’altrettanto intima riflessione sulle le radici del patrimonio culturale occidentale.

Le fotografie realizzate da Laib durante i suoi viaggi in Europa e in Asia compongono un repertorio di forme che prende nuova vita nei suoi essenziali disegni a pastello.  A loro volta i motivi che popolano le opere su carta riecheggiano e si amplificano nelle sculture e installazioni che completano  il percorso espositivo, secondo un principio di circolarità e ripetizione paradigmatico dell’opera dell’artista.

Nell’ampio spazio espositivo del piano -2 dialogano senza barriere opere rappresentative dell’intero percorso artistico di Laib: dalla Milkstone, scultura essenziale che sposa in un equilibrio perfetto la durezza del marmo alla fluidità del latte, presente sin dalle prime esposizioni, alle più recenti strutture in legno ricoperte da rilucente lacca birmana (Untitled, 2003); dalla celeberrima sequenza dei Rice Meals (1983) fino all’imponente ziggurat (Es gibt keine Anfang und kein Ende, 1999) in legno e cera d’api che impressiona con la sua mole e il suo intenso profumo. Prezioso fulcro della mostra è l’ampio e luminoso campo di polline di pino, presenza al tempo stesso effimera e grandiosa, che inevitabilmente invita a meditare sulla ciclicità della natura e la precarietà dell’esistenza, celebrandone al contempo la complessità e la ricchezza.

Significativa è l’attitudine con la quale Laib da sempre si confronta con i  materiali organici e inorganici che rendono inconfondibili le sue opere: il marmo viene scolpito, la cera viene plasmata e il polline disposto in ordinate composizioni senza la presunzione di attribuire alla materia un nuovo valore, bensì con la volontà di essere un tramite che con il suo lavoro rende visibile la bellezza intrinseca ad ogni materiale.

 

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Boetti / Salvo. “Vivere lavorando giocando”

boettisalvoAlighiero Boetti (1940-1994) e Salvo (1947-2015), fra le figure più originali della scena artistica italiana della seconda metà del Novecento, iniziarono la loro attività sul finire degli anni ’60 a Torino, città in quel periodo teatro di particolare fermento artistico e intellettuale, e lì, dal 1969 al 1971, condivisero lo studio in Corso Principe Oddone 88.

La prima parte dell’esposizione si concentra sul dialogo tra i due artisti in una fase, al volgere degli anni ’70, di intensissima frequentazione in una clima di radicale rinnovamento.

In quegli anni Boetti è orientato verso una precisa formulazione della sua stessa identità d’artista costruita in rapporto al tempo, dimensione che è per lui oggetto di sfida e confronto costante. Al contempo indaga l’“ordine e disordine” dei fenomeni di realtà per configurare una complessità di regole, criteri ordinatori, formulati nell’opera attraverso parole e immagini.

Per Salvo gli anni a cavallo tra i ‘60 e i ‘70 corrispondono al momento dell’ironica auto-storicizzazione: l’affermazione della propria identità e l’assunzione del proprio Ego a soggetto di auto-celebrazione.

Entrambi si interrogano dunque, pur con accezioni diverse, sulla rappresentazione di sé, come artisti e come individui.

La seconda parte della mostra mette invece a fuoco gli sviluppi successivi della loro ricerca, condotta ormai in modo autonomo. Pur nella progressiva distanza venutasi a creare a partire dal 1972, anno del trasferimento di Boetti a Roma, permane tra i due artisti una comune adesione a temi quali l’identità, il doppio, il tempo, il viaggio.

Entrambi, con percorsi originali, aprono la strada a una molteplicità di tecniche fornendo un fondamentale contributo alla riflessione concettuale degli anni ’60 e ’70 del Novecento. Boetti e Salvo rimangono ancora oggi figure di riferimento per le nuove generazioni di artisti post concettuali del ventunesimo secolo.

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Craigie Horsfield. Of the Deep Present

MASI_Horsfield 2017_F4.inddIl Museo d’arte della Svizzera italiana, in collaborazione con il Centraal Museum di Utrecht, dedica un’ampia esposizione monografica a Craigie Horsfield, artista britannico che nel corso della sua carriera ha sviluppato importanti riflessioni sui concetti di relazione sociale e “lunga durata”, conducendo nel contempo una straordinaria indagine sulla natura stessa dell’immagine fotografica.Nel suo lavoro ricorrono ritratti, nature morte, nonché momenti di vita quotidiana, riti e riflessioni sulla società, sugli individui e le relazioni, esplorati con tecniche innovative che tendono a stemperare i limiti fra le varie discipline artistiche. La fotografia costituisce infatti solo uno dei molteplici tasselli che si sovrappongono nella sua produzione artistica: a partire da un negativo, o da un fotogramma, Horsfield produce opere di grande formato realizzate con tecniche sorprendenti e disparate come arazzi e affreschi.
La struttura narrativa della mostra si sviluppa in sezioni incentrate su opere emblematiche, sovente lavori monumentali come i maestosi arazzi dedicati alla scena apocalittica di Ground Zero o al Golfo di Napoli in un’ambigua visione notturna. Lo straordinario percorso che ne scaturisce porta alla luce le relazioni che intercorrono fra eventi accaduti in luoghi e momenti apparentemente lontani, fra le persone che ne sono state partecipi e gli spettatori che ne fanno scoperta in mostra.
Il concetto di relazione – inteso sia come il legame tra individui sia come il narrare, il raccontare – è centrale nell’opera di Horsfield. Nei progetti che ha realizzato appositamente per questa mostra, così come in altre numerose occasioni, ciò è particolarmente evidente. Secondo l’artista un’opera d’arte si realizza pienamente solo grazie al ruolo attivo del pubblico: «Ciò che avviene qui è il riconoscimento di un passaggio di comprensione, di raccoglimento e di identificazione, l’impressione di dare tempo e profonda attenzione al mondo e agli altri, e a un presente profondo. […] A volte questi passaggi sono fluidi nelle loro interrelazioni, altre volte sono spigolosi e discordanti, e all’interno della struttura ci sono strati su strati di associazioni, citazioni e allusioni, dentro le opere, dentro la narrazione e nel corso della storia, la storia immaginata come un presente profondo».
A partire dalla fine degli anni sessanta Craigie Horsfield ha realizzato delle opere sonore, strutture composte da suoni preregistrati e musica, e la configurazione stessa della mostra è articolata come i movimenti di una composizione musicale. Accanto agli arazzi, agli affreschi e alle stampe, il percorso espositivo include una nuova opera sonora composta e mixata dall’artista insieme al compositore e musicista Reinier Rietveld con il quale collabora da decenni. Questo elemento sonoro, in dialogo con le altre opere, contribuisce all’elaborazione di nuovi e specifici significati.
La mostra presenta una serie di ritratti inediti realizzati a Lugano e a Utrecht appositamente per questo progetto espositivo. Ciò che prevale in queste immagini è l’esplorazione dei processi attraverso i quali cerchiamo di comprenderci l’un l’altro e di esistere insieme. Al tempo stesso queste opere affermano l’unicità delle persone che collaborano con l’artista e la loro singolare e unica esistenza nel presente, riconosciuta nell’attenzione dello spettatore, attraverso il raccoglimento, la sensibilità e l’empatia. È proprio con questa attitudine di generosa apertura che invitiamo i visitatori a scoprire la mostra

 

Meret Oppenheim

MASI_MOppenheim_F4_DEF2.inddMeret Oppenheim (1913-1985) è una delle artiste più note del Novecento: una figura quasi leggendaria di donna che seppe affermarsi nel contesto del surrealismo e sviluppare una ricerca dai caratteri del tutto autonomi. L’esposizione di Lugano mette in evidenza la fitta trama di rapporti personali e creativi che legarono l’artista ai più anziani e spesso già celebri colleghi dell’epoca: Man Ray, Marcel Duchamp, Max Ernst, Alberto Giacometti, Jean Arp e altri ancora, documentati attraverso alcune delle loro opere più significative. È così possibile cogliere l’interpretazione che Meret offre dei temi della ricerca surrealista e quanto lei stessa la influenzi attraverso la propria personalità e il proprio fascino.

Il percorso espositivo permette dunque di superare l’immagine di Meret Oppenheim musa e modella che in passato ne ha spesso e ingiustamente oscurato l’opera. Emergono dalle creazioni di Meret e dei colleghi i temi più cari all’immaginario artistico negli anni Trenta: le fantasie oniriche ed erotiche, la donna come creatura fatata o strega, il feticismo e il rapporto con la natura. Negli anni del dopoguerra l’opera di Meret si arricchì anche della ricerca astratta e dimostrò la propria forza di suggestione sugli artisti delle generazioni successive, sottolineata dai paralleli con opere di Daniel Spoerri, Birgit Jürgenssen, Robert Gober e Mona Hatoum.

Il Museo d’arte della Svizzera italiana ha sede a pochi passi da Carona, borgo caro all’artista che lì, nella casa di villeggiatura di famiglia, trovò un rifugio sereno anche nei momenti più inquieti della propria esistenza. La mostra celebra dunque Meret Oppenheim in uno dei luoghi cui più strettamente si lega la sua memoria.

Il catalogo
In occasione della mostra sarà pubblicato un catalogo bilingue italiano-inglese (edizioni Skira) con immagini di tutte le opere esposte e contributi dei curatori e di specialisti dell’opera di Meret Oppenheim: Martina Corgnati, Bice Curiger, Heike Eipeldauer, Josef Helfenstein, Daniel Spanke.

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Marco Scorti. Premio Manor Ticino 2016

x141440_a-jpg-pagespeed-ic-umwfbm71mLa mostra realizzata in occasione della quinta edizione del Premio Manor Ticino, presenta una serie di dipinti di Marco Scorti, giovane artista ticinese nato a Lugano nel 1987 che attualmente vive e lavora tra il Ticino e Ginevra, città in cui ha svolto la sua formazione artistica e dove si è diplomato alla Haute École d’Art et Design nel 2013. Da allora il suo lavoro ha suscitato un rapido e crescente interesse e ha riscosso importanti riconoscimenti, portandolo ad essere incluso tra i dieci artisti svizzeri con meno di trent’anni che nel 2014 sono stati insigniti del Premio Kiefer-Hablitzel. Al centro della sua ricerca pittorica vi sono quei luoghi banali e anonimi della quotidianità che stanno ai bordi dello spazio urbanizzato. Realizzati partendo da collage visivi e da ricostruzioni mentali, questi spazi della contemporaneità diventano, anche grazie alla sapiente padronanza tecnica, il palcoscenico di una narrazione sospesa e misteriosa nella quale la figura umana è completamente assente. In occasione della mostra l’artista presenta una serie di lavori espressamente realizzati per l’occasione. Istituto per la prima volta nel 1982 su iniziativa di Philippe Nordmann, il Premio Manor rappresenta uno dei riconoscimenti più prestigiosi e ambiti e uno degli strumenti di promozione più efficaci all’interno della scena artistica contemporanea svizzera. Presente in dodici città o regioni svizzere, il premio si rivolge ad artisti attivi nei diversi ambiti delle arti visive che abbiano meno di quarant’anni. Obiettivo del premio, che viene assegnato ogni due anni, è quello di far conoscere a un pubblico più ampio il lavoro di artisti giovani non ancora molto noti e di dare un impulso alla loro carriera artistica.

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Antonio Calderara. Una luce senza ombre

CalderaraAntonio Calderara (1903-1978), figura singolare e appartata del panorama artistico italiano, per molti versi paragonabile a quella di Giorgio Morandi, si avvicina all’arte da autodidatta negli anni Venti, dopo aver abbandonato gli studi in ingegneria al Politecnico di Milano. Caratterizzata da semplificazioni plastiche e da una luce chiara in cui si avvertono gli echi di Piero della Francesca e di Seurat, la sua pittura appare segnata nei decenni successivi da un intimismo stilizzato, vicino alle esperienze del Realismo magico. A segnare una svolta nella sua pittura è il passaggio, nel 1959, all’astrazione. Un’astrazione che non conosce molti altri esempi in area italiana per la sua radicalità, perfettamente in sintonia con le coeve esperienze europee che tendono al grado zero della pittura. La geometria nel suo caso non ha però mai la rigidità dell’arte concreta ma è dominata da delicate e sottili vibrazioni luministiche ottenute attraverso velature sovrapposte. Nei dipinti degli anni Sessanta e Settanta, quasi sempre di piccolo formato, prende così corpo una luce-colore, che traduce la sua aspirazione a “dipingere il nulla, il vuoto, che è il tutto, il silenzio, la luce, l’ordine, l’armonia. L’infinito”. Prima grande retrospettiva di Calderara in Svizzera dopo quella curata da Jean Christophe Ammann al Kunstmuseum di Lucerna nel 1969, l’esposizione prende avvio dalle opere del periodo figurativo, per poi soffermarsi sulle diverse fasi che segnano la sua produzione astratta. La mostra include inoltre un’ampia selezione di opere provenienti dalla collezione che l’artista costituì attraverso una serie di scambi con artisti a lui legati da rapporti di amicizia o di stima, quali Josef Albers, Lucio Fontana, Piero Manzoni, Yves Klein, Dadamaino, François Morellet, Jan Schoonhoven, Max Bill e Gianni Colombo.

La mostra è accompagnata dalla pubblicazione Antonio Calderara. Una luce senza ombre (bilingue italiano-inglese) edita da Skira che presenta immagini a colori delle opere esposte accompagnate da testi critici di Elio Schenini, Hans Rudolf Reust, Paola Bacuzzi ed Eraldo Misserini, nonché dalla prefazione del direttore del Museo d’arte della Svizzera italiana Marco Franciolli.

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Ilya & Emilia Kabakov. The Kabakovs and the Avant-Gardes

manifesto kabakov“Ilya & Emilia Kabakov. The Kabakovs and the Avant-Gardes” prosegue la linea espositiva dello Spazio -1 collocandosi dopo la mostra personale dedicata all’artista italiano Giulio Paolini (settembre 2015) e la rassegna tematica “Sulla Croce” (marzo 2016). Il progetto scaturisce da un rapporto personale nato diversi anni fa tra i collezionisti Giancarlo e Danna Olgiati e i due artisti, già rappresentati dal 2012 nello Spazio -1 con tre significative opere. Come consuetudine, l’approfondimento sarà accompagnato da un nuovo allestimento della Collezione Olgiati con opere inedite.
La mostra mette in relazione sette opere dei due grandi artisti russi con ventisei dipinti e disegni delle avanguardie storiche del primo Novecento provenienti dalla Collezione: dal cubofuturismo russo al suprematismo, passando per il futurismo italiano e l’astrattismo europeo, lo Spazio -1 propone un particolarissimo dialogo intellettuale. Si potranno ammirare cinque grandi dipinti, una scultura e un’installazione di Ilya ed Emilia Kabakov accostati a grandi nomi delle avanguardie storiche fra cui, per citarne alcuni, Malevich, Kandinskij e Rodchenko tra gli artisti russi; Balla, Boccioni e Severini tra i futuristi italiani; Léger e Schwitters rappresentanti dell’astrattismo europeo. L’allestimento concepito espressamente da Ilya Kabakov per la mostra di Lugano, si rivela essere uno straordinario omaggio dell’artista alla storia dell’arte con cui dialoga incessantemente, e in particolare alla Collezione Olgiati, con la quale c’è forte sinergia in termini di scelte artistiche e visione d’insieme. Lo spazio perimetrale sarà occupato dalle opere dei Kabakov, mentre i dipinti delle avanguardie storiche troveranno collocazione su pareti temporanee collocate diagonalmente nella parte centrale dell’area espositiva, e saranno disposte a formare una griglia abitata al centro da una struttura a croce, secondo uno schema di chiara origine suprematista.
Dipinti che rappresentano i massimi esiti dell’astrazione europea vengono dunque inglobati in un allestimento ideato da uno dei maggiori protagonisti della contemporaneità.
Oltre ogni divisione cronologica o di genere, la mostra attiva un cortocircuito temporale, una grande sintesi che narra dell’arte e della storia, dei grandi sistemi sociali e culturali del secolo passato e della sopravvenuta frammentazione del nostro complesso presente.

Il catalogo della mostra “The Kabakovs and the Avant-Gardes” include un saggio critico di Robert Storr, curatore del MOMA di New York dal 1990 al 2002 e curatore della Biennale di Venezia del 2007, unitamente ad altri testi di approfondimento, nonché la riproduzione a colori di tutte le opere esposte.

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Paul Signac. Riflessi sull’acqua

F4SIGNAC-scelte-def-def.inddRiunita da una famiglia di collezionisti appassionati dall’opera di Signac, la collezione in mostra costituisce uno dei più importanti nuclei di opere dell’artista conservato in mani private. Essa offre un ventaglio rappresentativo dell’evoluzione artistica del pittore, dai primi dipinti impressionisti fino agli ultimi acquerelli della serie dei Porti di Francia, passando per gli anni eroici del neoimpressionismo, il fulgore di Saint-Tropez, le immagini scintillanti di Venezia, Rotterdam e Costantinopoli. L’eccezionalità della collezione è legata anche alla diversità delle tecniche che abbraccia: la foga impressionista degli esordi si contrappone alle limpide policromie del divisionismo, il giapponismo audace degli acquerelli contrasta con la libertà dei fogli dipinti en plein air, mentre i grandi disegni preparatori a inchiostro di china diluito ci rivelano i segreti di composizioni serene, a lungo meditate in studio.
Attraverso un percorso cronologico e tematico, la mostra rivela così le molteplici sfaccettature di un uomo dalle convinzioni salde, con la passione per il mare e le barche, ma soprattutto del pittore innamorato del colore. Il percorso espositivo è completato da una ricca sezione documentaria che permetterà agli spettatori di esplorare le teorie del colore utilizzate dai neoimpressionisti nelle loro ricerche artistiche.
La mostra a cura di Marina Ferretti, direttore scientifico del Musée des impressionnismes di Giverny e corresponsabile degli Archives Signac è posta sotto l’alto patronato di Sua Eccellenza, Signor René Roudaut, Ambasciatore di Francia in Svizzera ed è stata organizzata in collaborazione con la Fondation de l’Hermitage di Losanna, istituzione con cui il Museo ha già avuto occasione di collaborare nel 2012 per la realizzazione della grande mostra tematica Una finestra sul mondo.

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And Now the Good News

F4-ANTGDIl giornale è probabilmente uno degli oggetti nei quali più di ogni altro si incarna lo spirito della vita moderna. Dalla seconda metà dell’Ottocento, gli articoli e le immagini pubblicate sulla stampa scandiscono il ritmo della nostra quotidianità e definiscono il nostro rapporto con lo scorrere del tempo e con le vicende del mondo. Vicende che con il passare del tempo possono diventare sempre più minuscole e insignificanti fino a dissolversi nell’oblio o che al contrario si trasformano nei grandi eventi epocali che segnano i passaggi della storia. Non è dunque un caso, se nell’intreccio sempre più inestricabile tra arte e vita che i movimenti artistici del primo Novecento hanno inaugurato, il giornale sia diventato uno dei soggetti privilegiati delle sperimentazioni linguistiche a partire dalle quali gli artisti hanno interrogato la realtà. L’uso che da allora gli artisti hanno fatto della carta stampata, quale soggetto, supporto, elemento compositivo o referente concettuale, è alla base della collezione riunita dai coniugi Peter e Annette Nobel nell’ultimo quarto di secolo. Una raccolta, che partendo dalle opere di esponenti del Cubismo, del Dadaismo e del Surrealismo, e proseguendo con alcuni dei principali rappresentanti delle neoavanguardie degli anni Sessanta, giunge fino ai nostri giorni, includendo alcune delle figure di primo piano del panorama artistico contemporaneo. Composto da oltre 300 opere articolate in una decina di sezioni, il percorso espositivo si snoda lungo i due livelli della sede del MASI al LAC, documentando lo stretto dialogo tra arte e media che caratterizza l’arte del nostro tempo. Di fronte agli occhi dello spettatore si dispiega così un racconto avvincente in cui si mescolano analisi sociale, riflessione esistenziale, critica politica e sovversione ironica.


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Che c’è di nuovo? Uno sguardo sulla scena artistica emergente in Ticino

66_pics1 Che c’è di nuovo? rappresenta da oltre un decennio un appuntamento imprescindibile per chi voglia conoscere le tendenze più recenti e i principali protagonisti che animano la scena artistica ticinese attuale. Giunta alla sua quarta edizione, la rassegna, ospitata al piano terreno e al primo piano di Palazzo Reali, offre ai visitatori l’occasione di confrontarsi con le opere di una decina di artisti con meno di 40 anni selezionati da un’apposita commissione. Inaugurata per la prima volta nel 2003, la mostra si propone di offrire ad artisti giovani e ancora poco noti la possibilità di presentare il proprio lavoro all’interno di un istituzione museale, dando contemporaneamente al pubblico l’opportunità di avere periodicamente una visione “in presa diretta” del fermento creativo che anima le nuove generazioni. Oltre a presentare una panoramica della produzione artistica emergente, attraverso una varietà di linguaggi che comprendono pittura, scultura, disegno, fotografia, video e performance, la rassegna ha come obiettivo primario quello di favorire una migliore integrazione della realtà artistica locale nel contesto nazionale.


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Armand Schulthess

300_02-assemblage-darman_masilugano_3922540_20815_1Armand Schulthess (Neuchâtel 1901- Auressio 1972) all’età di 50 anni lascia il suo lavoro di funzionario federale a Berna e sceglie come luogo d’esilio geografico e mentale una casa di campagna ad Auressio, in Ticino. In rottura con il mondo esterno, dedica il resto della sua vita alla pianificazione della sua proprietà di 18’000 m2, che sistema secondo una rete di sentieri, di passerelle, di prospettive e luoghi di riposo. Agli alberi appende più di un migliaio di placche di metallo sulle quali incide testi sulla psicanalisi, la letteratura, l’astronomia e la musica. Il giardino diventa un’enciclopedia a cielo aperto, bucolica e labirintica, che testimonia le sue preoccupazioni artistiche, filosofiche e scientifiche. Alla sua morte nel 1972, i suoi eredi e le autorità ticinesi decidono di distruggere la sua opera, di cui fortunatamente alcune creazioni furono salvate da persone sensibili a questo progetto fuori dal comune.


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Aleksandr Rodcenko

MASI_Rodcenko_F4.inddL’avanguardia russa ha rappresentato un fenomeno unico nel Novecento. La sorprendente energia
creativa espressa dai suoi esponenti alimenta ancora oggi i movimenti artistici contemporanei,
trovando riflesso anche nelle più recenti forme di grafica e design. Aleksandr Rodčenko (1891–
1956) è stato uno dei principali generatori di idee di quella stagione straordinaria, incarnandone lo
spirito. Pittura, design, teatro, cinema, tipografia, fotografia, sono i campi a cui Rodčenko applicò il
proprio talento, trasformandoli radicalmente e aprendoli a nuovi percorsi di sviluppo. I primi anni Venti, in particolare, rappresentarono “un’età intermedia” in cui, anche se per breve tempo, sperimentazione artistica e sociale coincisero. Il carattere interdisciplinare dell’opera di Rodčenko è documentato in mostra dalle collaborazioni con altri artisti, letterati, intellettuali – come l’amico poeta Vladimir Majakovskij, i registi Sergej Ejzenstein, Dziga Vertov, gli scrittori Osip Brik e Sergej Tret’jakov – ma anche dalle illustrazioni per libri, riviste, manifesti pubblicitari e di propaganda.


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Markus Raetz

markusraetz La prima mostra monografica ospitata dal MASI Lugano è dedicata a Markus Raetz, uno dei protagonisti della scena artistica svizzera contemporanea, e nasce da una collaborazione con il Kunstmuseum di Berna e il Musée Jenisch di Vevey che ne hanno ospitato le prime tappe nel 2014. A Lugano la mostra assume particolare rilevanza, è infatti la prima personale dedicata all’artista in Ticino e include l’installazione intitolata “Chambre de lecture” mai presentata al pubblico fino ad ora. Oltre 150 opere ripercorrono il percorso artistico di Raetz dagli anni Settanta ad oggi e quindi le tematiche che ne costituiscono il fil rouge, in primo luogo il costante interesse per il fenomeno della percezione che egli esplora grazie a una serie di soggetti ricorrenti come le parole, i paesaggi e le vedute o ancora le fisionomie e i volti. Grazie a un approccio al tempo stesso ludico e concettuale questi soggetti, in apparenza semplici e accessibili, rivelano nelle creazioni di Raetz la complessità della realtà che ci circonda. Ampio spazio è dedicato all’opera incisa, ambito prediletto dall’artista che negli anni ha esplorato le varie tecniche calcografiche alla ricerca di una sempre maggiore libertà creativa. Le sperimentazioni grafiche di Raetz sono accompagnate da una parallela ricerca in ambito plastico come testimoniano le numerose sculture incluse nell’allestimento: si tratta sovente di opere che si trasformano sotto lo sguardo dello spettatore mutando aspetto e significato a seconda del punto di vista scelto. Una parola può quindi trasformarsi nel suo esatto contrario o il profilo del celebre artista Beuys apparire al tempo stesso come la sagoma di una lepre: nelle sculture di Raetz coesistono gli opposti e niente è come appare di primo acchito.

Chambre de lecture
Presentata in uno spazio dedicato e distinto rispetto all’allestimento della mostra, quest’opera costituisce un ideale punto di partenza per avvicinarsi alla poetica di Markus Raetz. L’installazione è composta da 432 profili in filo di ferro modellati dall’artista e sospesi ordinatamente davanti alle pareti di una stanza. I profili si animano al più lieve spostamento d’aria, dando vita a una serie di affascinanti dinamiche. Contemplando il movimento delle teste si è portati al contempo a sorridere e riflettere. Come spesso avviene nelle opere di Markus Raetz, il passaggio dalla dimensione più universale a quella intimistica della fruizione è senza soluzione di continuità.


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Roberto Donetta

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Esposizione antologica sulla figura del fotografo ticinese Roberto Donetta (1865-1932): un originale e inedito racconto per immagini del Ticino alle soglie della modernità, attraverso lo sguardo di uno dei suoi maggiori e più noti autori.

Roberto Donetta, venditore ambulante di sementi, scopre la fotografia e vi si applica, come autodidatta, con crescente passione. Con questo mezzo fissa la vita quotidiana, i riti, le feste e i gruppi: ritrae giovani e anziani così come matrimoni, battesimi e funerali, non tralasciando quegli eventi che trasformano la valle segnando il suo ingresso nella modernità. La sua immensa curiosità, unita ad una personalità marcata, lo porta verso sperimentazioni formali audaci che superano le antiche categorie di genere e anticipano gli approcci artistici e giornalistici al mezzo fotografico.


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In Ticino. Presenze d’arte nella Svizzera italiana 1840-1960

MASI_F4_09.2015.indd Complementare rispetto all’esposizione allestita nella sede del LAC – dove il Ticino è eletto quale ideale luogo geografico di osservazione della realtà culturale europea degli anni 1840-1960, a Nord e a Sud dei suoi confini – la mostra a Palazzo Reali si propone di indagare la realtà artistica della Svizzera italiana nello stesso periodo, contraddistinto da una importante storia di emigrazione e immigrazione di artisti attraverso il Canton Ticino.


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Teatro di Mnemosine. Giulio Paolini d’après Watteau

Paolini Il progetto espositivo ha origine dall’opera Mnemosine (Les Charmes de la Vie/7), 1981-84 – acquisita dai collezionisti nel 2007 e iscritta nel ciclo Mnemosine (Les Charmes de la Vie), 1981-1990 – un corpus di sei opere dedicate da Paolini alla dea della memoria e realizzate nell’arco di nove anni.
Secondo il mito, Mnemosine (la personificazione della memoria, il cui nome stesso è composto da nove lettere) giacque con Zeus per nove notti e dal loro amore nacquero le nove Muse. La glorificazione di Mnemosine attuata dall’artista trova una corrispondenza visiva nel dipinto del noto pittore francese del ‘700 Jean-Antoine Watteau, intitolato Les Charmes de la Vie (1718 ca.), un quadro che viene qui riproposto da Paolini in una personalissima interpretazione.
Il ciclo Mnemosine viene per la prima volta integralmente riunito a Lugano con la personale supervisione dell’artista in un allestimento dal marcato registro teatrale.


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Anthony McCall. Solid Light Works

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Nato in Inghilterra nel 1946, McCall vive a New York dal 1973. Fin dai primi anni ’70 si è dedicato alla realizzazione di sculture di luce (Solid Light Sculptures): fasci luminosi piani, curvi o conici che delineano nuovi volumi attraversando lo spazio espositivo completamente oscurato. La sua ricerca si iscrive nell’ambito dell’Expanded Cinema che, negli anni ’70, metteva in questione le convenzioni della settima arte come semplice forma di narrazione per indagarne gli elementi costitutivi. Le sculture di luce di McCall trascendono la pura dimensione estetica per divenire un’autentica esperienza sensoriale in grado di sovvertire le abitudini percettive dell’osservatore.

Negli spazi del Museo erano visibili quattro sculture di luce solida realizzate tra il 2003 e il 2013, tra cui anche la versione digitale della sua opera fondamentale, Line Describing a Cone, del 1973.


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Orizzonte Nord Sud. Protagonisti dell’arte europea ai due versanti delle Alpi. 1840-1960

orizzontenordsudLa mostra che inaugura il nuovo Museo d’Arte al LAC propone un viaggio attraverso le opere di numerosi protagonisti dell’arte a nord del Gottardo e nel «paese dove fioriscono i limoni»: da Böcklin a De Chirico, da Hodler a Wildt, da Anker a Morandi, da Segantini a Medardo Rosso per giungere, attraverso esponenti del dadaismo e futurismo a due maestri del Novecento come Fontana e Giacometti.